Eretto poco prima dell'anno 1628 venne dotato di beneficio il 3 Luglio 1630 da certo Guido Pasini.
Nel 1669 la costruzione si trovava in pessime condizioni statiche tanto che durante una visita pastorale di Mons. Nembrini questi, preso atto della situazione, ne ordinò la ristrutturazione.
In seguito l'Oratorio venne restaurato in più riprese. Nell'anno 1915, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, il Comune con provvedimento di imperio, requisì l'Oratorio per allestirvi un lazzaretto in caso di epidemie stante la guerra in atto.
Per nostra fortuna non venne mai utilizzato a tale scopo.
Dopo qualche anno, terminato il conflitto, sempre l'Amministrazione Comunale vi sistemò alcune famiglie che vi rimasero per alcuni decenni.
L'Oratorio, una volta sgomberato, venne restituito alla Parrocchia e al culto dopo i necessari lavori di restauro finanziati in parte dall'Amministrazione ma, per lo più, dal benefattore sig. Corradi Giovanni.
fonte: Enzo Giuffredi, Cronache di Trecasali e del suo territorio
da Voci N. 9/2023
Se si esce dal centro di Trecasali e ci si dirige verso est, nel bivio di una piccola strada immersa nella campagna si incontra un oratorio di modeste dimensioni: è la “Trinità” come la chiamano gli abitanti di Trecasali. La semplice facciata, ornata da quattro lesene, termina con un timpano triangolare; in corrispondenza di una modesta porta di ingresso rettangolare si nota più in alto una semplice finestra. Tra porta e finestra una cornice a forma di ottagono irregolare fa presumere che contenesse uno scritto.
Il campanile a vela è fornito di una campana per chiamare a raccolta i fedeli. L’interno è spoglio.
L’oratorio viene aperto tutte le sere del mese di maggio per la recita del rosario, oppure in occasione di matrimoni o battesimi e nel giorno della Santissima Trinità, che quest’anno cade domenica 4 giugno.
Chi ha abitato in quel quartiere ricorda che intorno agli anni ’50 del ‘900 nell’occasione di questa ricorrenza, dopo la celebrazione della messa, tanti sacerdoti della zona si fermavano per il pranzo e che nei pressi dell’oratorio si allestivano bancarelle per la gioia dei bambini.
Il signor Dante Allodi, novantaseienne abitante nei pressi della chiesetta ha detto che nell’anno 1915 il Comune requisì l’oratorio per allestirvi un lazzaretto in caso di epidemie e che tra le due guerre era diventato abitazione per famiglie povere che vi rimasero per alcuni decenni. Dopo il Concilio Vaticano II, per interessamento del parroco don Firmino Mora, la piccola chiesa venne restituita alla parrocchia e al culto: i lavori di restauro furono finanziati in parte dall’Amministrazione Comunale e soprattutto dal benefattore dottor Giovanni Corradi.
Dal punto di vista storico si sa che l’oratorio fu eretto prima dell’anno 1628 e dotato di beneficio il 3 luglio 1630 da un certo Guido Pasini. Nel 1669, durante una visita pastorale, viste le precarie condizioni dell’edificio, monsignor Mambrini “mandavit de novo readificari oratorium, alias declaravit illud interdictum”. In pratica era necessario costruirne uno nuovo o restaurare radicalmente il vecchio. Perciò poco sappiamo di questo antico oratorio; anche nei secoli successivi subì vari interventi di restauro.
Siamo solo a conoscenza del fatto che vi era esposta una pala d’altare raffigurante la Santissima Trinità che ora si trova nella parete nord della chiesa di San Michele Arcangelo di Trecasali. È un’opera pregevole il cui restauro eseguito nel 2002 per interessamento della Sovraintendenza ai beni artistici e storici di Parma ha svelato la firma dell’autore: Angelo Massarotti di Cremona. È una tela settecentesca di grandi dimensioni racchiusa in una cornice coeva con lacca verde scuro. Nel quadro “La Trinità adorata da San Paolo” le figure disposte in diagonale sono un San Paolo adorante, Cristo in croce, un angioletto paffuto; figure controbilanciate dall’immagine di Dio e di un altro angelo. Il resto è cielo con nuvole massicce in cui si vede la colomba, simbolo dello Spirito Santo. Quest’opera pregevole, fatta eseguire per l’oratorio della Trinità, ci fa pensare che questo edificio sacro fosse di una certa importanza.
Ringrazio Giuliana, Marinella e Dante per la collaborazione.
IL MIO RICORDO DELLA “TRINITA’
”Quando la Redazione ha pensato di presentare su questo numero di ”Voci” l’oratorio della Trinità, il mio pensiero è corso subito alla mia infanzia che ho vissuto alla “Trinità” con la mia cara amica Marinella. All’inizio della strada, che dall’oratorio porta verso la Baronessa di San Quirico c’erano soltanto quattro case, tutte al servizio dei poderi annessi, in cui vivevano: la famiglia Allodi, custode dell’Oratorio, ed i loro “vaccari” Bigri - i fratelli Ferrarini - i fratelli Fabbi Emilio e Pino, due giganti con un grande cuore, con la loro mamma che io chiamavo nonna Amelia - la famiglia Soncini. Molto più avanti c’erano le case delle famiglie Finardi e Gruzza.
Io abitavo in un ampliamento della casa colonica dei Fabbi che il Dott. Giovanni Corradi, proprietario del fondo, aveva fatto costruire per il suo fattore Rosi, papà di Marinella, prematuramente scomparso. Marinella viveva a casa dei nonni Allodi.
Marinella e io, coetanee eravamo sempre insieme: d’inverno passavamo le giornate ora a casa dell’una, ora a casa dell’altra giocando mentre nella bella stagione correvamo per i campi raccogliendo le ghiande da dare ai nostri maiali e erba per i conigli, pattinando nelle aie o giocando sotto l’ombra di un grande albero. L’andata e il ritorno da scuola, a piedi, era accompagnata da Tobruk, il cane da caccia di suo zio Arnaldo (il nostro piedibus).
Nel 1957, nell’ Oratorio della Trinità si sposò la figlia di Bigri ed abbiamo ricevuto l’incarico di damigelle degli sposi. Che emozione!
Nelle sere di maggio le famiglie della Trinità si riunivano nell’Oratorio per la recita del S. Rosario guidato dalla signorina Ottilia Negri. Venivano anche altre famiglie dal centro del paese. Al termine si faceva un canto di ringraziamento alla Madonna e c’era la competizione con le persone che recitavano il rosario alla Maestà di Campedello, ad un tiro di schioppo in linea d’aria, a chi cantava più forte; poi noi bambini tutti a saltare per i fossi per acchiappare le lucciole.
A giugno si trebbiava il frumento mentre a settembre era il tempo della sgranatura della melica. Attaccato alla mia casa c’era il granaio in cui veniva depositato prima il frumento e poi la melica, arrivavano anche i carri con i raccolti di altri poderi del Dott. Corradi: di Via Grande condotto dai Givera e di Casalfoschino condotto dai Mazzoli.
La sgranatura della melica significava giorni di grande allegria e divertimento per noi bambine: al mattino la melica veniva stesa nell’aia e ad intervalli regolari, facendo strisciare i piedi tracciavamo dei piccoli solchi creando cornici di disegni diversi per farla essiccare bene; verso sera la melica veniva ammucchiata al centro dell’aia e coperta con i sacchi di iuta per proteggerla dalla rugiada della notte ed il mattino dopo si ripeteva il tutto per alcuni giorni. A quel punto i contadini, con pale di legno, la mettevano nei sacchi che, pesati sulla bascula sotto l’attento controllo della signorina Rina Pagliari (incaricata di fiducia del Dott. Corradi) che segnava su un libricino le pesature, venivano poi portati nel granaio.
Ad ottobre si vendemmiava e il nostro maggior divertimento era la pigiatura con i piedi dentro i bigonci.
A novembre si svolgeva il “rito” dell’uccisione del maiale, quando i due norcini, mio zio Renato Ghidini ed Emilio Campanini arrivavano, io mi chiudevo in casa con il catenaccio: mi faceva molto paura.
Nel periodo Natalizio ci stupivamo a guardare Dante, zio di Marinella, che nel grande andito costruiva un magnifico presepe con le cassette dell’uva.
Sono ricordi comuni a molti, che segnano un tempo più lento, di fatica e di mutuo aiuto, dove c’era poco e quel poco spesso si condivideva.