Mario Pelizzoni

Bassorilievo Sede AVIS Sissa
Bassorilievo Sede AVIS Sissa

Pittore e scultore, nato a Torricella di Sissa (Parma) il 29 settembre 1917; morto a Busseto.

Biografia

Figlio di un marmista, sin da ragazzo si applicò con passione all'attività che più gli era congeniale, disegnando e modellando statuette. Il padre lo voleva maestro e non artigiano come lui, perciò lo affidò, a Parma, al prof. Carlo Corvi, sotto la cui esperta e valida guida egli andò affinando la naturale sua inclinazione con un'adeguata preparazione accademica.

Ultimati gli studi, cominciò a dipingere e nel 1933 tenne a Parma la prima collettiva nel ridotto del Teatro Regio; a quella ne seguirono altre in varie città d'Italia, contrassegnate da successo di pubblico e di critica.

Artista versatile, non rifugge dal trattare con facilità paesaggio, animali, nature morte, ma devesi considerarlo pittore di figura. Nella sua galleria personale di lavori a Busseto l'arte plastica e pittorica ridonda di opere che gli hanno procurato soddisfazioni e riconoscimenti ed il cui esame, compiuto in successione di tempo, permette di seguire l'ascesa dell'artista traverso un'esperienza maturata e un più meditato raccoglimento.

Da Il corriere di montagna, Bimba in lettura, Fabbro in attesa del ferro rovente, tutti pregevoli lavori giovanili, si passa ad opere vigorose quali Ritratto di violinista (1940), Donna che rammenda, Ritratto di vecchio (1942) ed ancora Ritorno all'ovile, Gli spaccalegna, sino a pervenire a I vecchi scapoli, notevole per l'espressività dei volti dei due vecchietti effigiati, che conversano rievocando chissà quali ricordi di un tempo lontano: il dipinto fu anche molto ammirato tra quelli esposti al Concorso internazionale di Orvieto.

Tra la produzione successiva meritano un cenno particolare I due viandanti (1944), Bimba in attesa (1945), tela esposta alla Mostra internazionale di Prato nel 1946, La carità, La pescivendola (1945), Il buon samaritano (1946), Carbonai in montagna, Caprette, Uragano (1947), 11 landò, Ballo in maschera, che ha figurato in varie mostre internazionali, La stalla (1948), Zingari accampati (1955), I delinqueri, Le grotte di Catullo, Bevitori, Scuola di danza, Tra i monti (1958), Messicani, Il carrettiere (1959); alcuni quadri a soggetto militare e patriottico eseguiti negli anni 1957-'59: Pattuglia, Verso il fronte francese, Morte d'un valoroso, Accampamento, Trasporlo d'un soldato ferito; infine, Orizzonte, La reginetta degli zingari, Ritorno dalla caccia, Tartarughe e Fido, Il viandante, La bufera, Prova di danza, Tiratori di fune, Sciatori.

Degni di rilievo sono pure alcuni ritratti, nature morte e paesaggi ; a questo riguardo bisogna dire che una linea fortemente incisiva e i toni cupi rendono particolarmente suggestive le visioni naturali di Mario Pelizzoni.

Non meno vasta la produzione plastica, tra cui risalta il bozzetto del monumento per la caserma del 15 Genio di Chiavari (1940), che palesa un chiaro sentimento lirico. Di quel tempo sono anche una Testa di frate, La fedeltà, Lotta libera, lavori tra i più riusciti per espressività e per finezza di modellato; come  rimarchevoli sono le seguenti opere successive: tra i metà busti, Ritratto di Verdi, Testa d'idiota (1946), Il Cristo (1948) e Ritratto di Pietro (1951), su legno, esposto in quell'anno alla Quadriennale di Roma; tra gli altorilievi, Il violinista (1944), Ritorno dalla caccia e Il pescatorello (1945).

Dal 1945 Pelizzoni è membro dell'Academia latinitati excolendae artium et Litterarum, la quale,  annoverandolo tra i suoi soci accademici, ha inteso dare un autorevole riconoscimento alla validità artistica della sua copiosa produzione.

Pelizzoni appartiene a quella schiera di artisti che amano l'arte: si può infatti dire che egli dipinga esclusivamente per sè, per una necessità dello spirito a fissare sulla tela immagini e impressioni della vita che lo circonda.

Chi ama i confronti riuscirebbe forse a trovare nella sua arte riflessi dell'impressionismo, chè non soltanto l'ambiente e i costumi, ma lo spirito stesso della composizione suggerisce i nomi di Van Gogh e Matisse, e la floridezza del colore, unita alla qualità del soggetto, rafforza le analogie con Antonio Mancini.

Ma quando avremo sottratto questi più o meno palesi influssi dall'arte di Pelizzoni, resta un largo margine che appartiene interamente a lui, come pure sua è la maniera d'assimilarseli e servirsene.

Dobbiamo considerare Pelizzoni un artista in continua evoluzione: come sospinto da una febbre  interiore, il suo estro creativo sembra volgersi verso mete nuove e staccate dallo schema della pittura moderna tradizionale, tale in quanto concepita nelle forme meno audaci.

Superate ormai questo traguardo, usci lo da un campo cui egli pure deve franchi successi, balza evidente dalle sue ultime opere come egli miri ad un ascendente artistico superiore, a concezioni di più vasta portata intellettuale, alla ricerca, insomma, di un posto tutto suo, a parte. Il suo formalismo s'è praticamente arrestato a I vecchi scapoli, al Ritratto di vecchio, a Sciatori, che segnano un punte fermo nella sua carriera di artista.

Le opere successive rientrano in una nuova tecnica impressionistica, di cui Orizzonte costituisce la più vigorosa manifestazione. Qui la disposizione dell'arte non si rivolge più all'oggetto di natura in sè e per sè, quale immanenza obbligata e destinata, ma tende ad esprimere, con la concitata grafia e il tratto tormentoso delle pennellate, un travaglio profondo, tutto interrogazioni, domande; e sembra un richiamo all'inappagata sete che ci spinge verso il mistero dell'infinito. La validità risiede non soltanto nel colore, con cui l'artista reagisce ad una descrittività troppo minuta e convenzionale, quanto nell'abilità di ridurre tale rilievo descrittivo per avvicinarlo ad una conseguenza espressiva.

La produzione plastica ci mostra un Pelizzoni egualmente vigoroso, sebbene i gessi francesi, le teste e i busti in legno, la cera colata rivelino, in successione di tempo, un'evoluzione un po' differente dalla pittura.

Come scultore egli si richiama a Meditalo Rosso: ma avere un'idea propria dell'arte, seguire una scuola piuttosto che un'altra o non seguirne affatto, poco importa. L'importante sta nel realizzare l'idea prima cui s'informa un dato lavorii e rendere così le impressioni come si sentono e come siricevono.

Pelizzoni è verista, nel senso che ci presenta le cose come sono; e quantunque egli segua il modo di modellare del Rosso, di suo, nelle sue opere, v'è la caratterizzazione del soggetto. Ed è questa divinazione, questo sentimento profondo, misto ad una sicura conoscenza dell'individuo, che costituisce la forza principale dell'ingegno di questo artista.

 

Testo acquisito dalle pagine web di Pro Loco Signa