da Voci n. 2/2021
PIETRO MELCHIORRE FERRARI, pittore ducale.
A cura di Lucia Bosi
CENNI BIOGRAFICI, FORMAZIONE E PRODUZIONE ARTISTICA.
Pietro Melchiorre Ferrari, pittore sissese nato nel 1735 e morto nel 1787, fu un importante artista della corte ducale parmense nella seconda metà del XVIII secolo. Figlio d’arte, fu avviato dal padre Paolo, dopo un primo apprendistato, al completamento della formazione pittorica a Parma, alla scuola del Peroni e a Bologna, alla scuola del Bigari. Tornato a Parma, frequentò la Ducale Accademia di Belle Arti, inaugurata nel 1757 in Pilotta e fu allievo di Giuseppe Baldrighi. Vinse numerosi premi nei concorsi banditi in quegli anni dall’Accademia: a soli 23 anni si aggiudicò il primo premio di nudo e rinnovò poi il successo con un saggio di figura il SENECA SVENATO e con il dipinto a soggetto religioso GUARIGIONE DEL PARALITICO.
SENECA SVENATO. Parma, Galleria Nazionale
LA GUARIGIONE DEL PARALITICO. Parma Galleria Nazionale
Gli importanti risultati conseguiti all’Accademia inserirono Pietro Melchiorre Ferrari tra i pittori più richiesti in città e provincia, gli vennero commissionati molti dipinti a soggetto religioso per le chiese del parmense ed eseguì anche numerosi ritratti di personaggi importanti del periodo, divenendo nel 1785 ritrattista di corte. Pittore ecclettico, si era formato artisticamente sulla grande lezione del Correggio e della scuola parmense, ma anche su esempi di artisti bolognesi, veneti e lombardi chiamati ad eseguire importanti cicli di affreschi in città e provincia nel ‘600. Il veneto Sebastiano Ricci aveva affrescato nel 1686 l’Oratorio del Serraglio a San Secondo; allo stesso periodo risalgono gli affreschi nel Palazzo Ducale del Giardino, dei bolognesi Tiarini, Agostino Carracci e Cignani, inoltre del cremonese Malosso e del fiammingo Giovanni Sons, mentre il bolognese Lionello Spada eseguiva dipinti al Teatro Farnese. Lo studio all’Accademia del Baldrighi fece sì che Pietro Melchiorre attingesse dai modelli francesi come Poussin, Watteau, Fragonard, Boucher e Van Loo i cui dipinti furono inseriti nelle collezioni ducali della corte borbonica per volontà del primo ministro, il francese Du Tillot. Egli promosse una rivoluzione di pensiero e introdusse innovazioni in vari campi: fu ministro simbolo della stagione riformista dell’Illuminismo che fece di Parma la “petite capitale” di un ducato con vasta influenza francese nelle arti e nella cultura. Numerose sue opere sono esposte nella Galleria Nazionale di Parma e quelle a soggetto sacro, eseguite per il Duca Don Ferdinando di Borbone, sono visibili nella chiesa palatina di San Liborio di Colorno e nell’ oratorio di Copermio.
RITRATTO DI GUGLIELMO DU TILLOT. Parma, Galleria Nazionale
Apprezzato ritrattista di corte, Pietro Melchiorre eseguì negli anni 1760-70 le effigi dei più importanti personaggi della vita del ducato come quella del primo ministro Du Tillot che aveva
realizzato riforme illuminate nel campo dell’agricoltura, dell’amministrazione, dell’artigianato e dell’industria. Il ministro è ritratto a tre quarti, seduto su poltrona in legno intagliato e
velluti, in un interno raffinato ed elegante. Ben delineata è la fisionomia del personaggio e il suo abbigliamento elegante nell’abito rosso con decorazioni a passamaneria dorata e jabot di
pizzo. L’elsa della spada, il libro tra le mani e l’arredo dello studiolo completano la composizione, di gusto francese, precisando la condizione sociale del ministro investito dal duca del
Marchesato di Felino.
FERRARI PIETRO MELCHIORRE
Sissa 2 febbraio 1734-Parma 3 ottobre 1787
Figlio di Paolo, pittore e architetto.
Dopo aver ricevuto i primi rudimenti dell’arte dal padre, il Ferrari fu scolaro dell’abate G. Peroni, che lo indirizzò a Bologna presso Angelo e Vittorio Bigari, sotto la direzione dei quali molto si avanzò nell’arte e pel disegno, e pel colorito (Baistrocchi-Sanseverino, ms., secolo XIX).
Ritornato a Parma, frequentò l’Accademia di Belle Arti come allievo di G. Baldrighi, che fu per il Ferrari di grande stimolo, dopo un inizio incerto e sconclusionato (Bertoluzzi, ms., inizi secolo XIX). In questa fase della sua formazione, all’educazione bolognese aggiunse la lezione della pittura locale e le suggestioni attinte dalle opere di artisti francesi (Poussin, Watteau, Fragonard, Boucher) commissionate dai duchi di Parma per le proprie collezioni. Inoltre risentì di quel clima complesso e denso di fermenti rinnovatori promossi alla Corte borbonica dal primo ministro G. Du Tillot.
Giovanili e condotti con un certo eclettismo sono le commissioni di dipinti a soggetto religioso per alcune chiese della campagna parmense: il San Vincenzo Ferreri in San Michele a Trecasali, di un cromatismo scarno legato al Peroni, la carraccesca tela de La consegna delle chiavi, in San Pietro di Fragno (1759-1760), ma già con anticipazioni neoclassiche, la Madonna col Bambino e santi per la chiesa di Miano di Medesano, che risente ancora di una impostazione secentesca (1759), la Madonna e santi della chiesa parrocchiale di Varsi, nella quale il Ferrari riecheggia moduli quattro-cinquecenteschi (Inventario, 1934, p. 302; Bigliardi, 1977, p. 40).
Negli stessi anni ottenne diversi successi accademici.
Nel 1758 riportò il primo premio nel disegno di nudo: un interesse, quello dello studio anatomico, che il Ferrari ripropose in numerosi disegni di grande rigore e approfondita tecnica (Parma: Pinacoteca Stuard; Accademia di Belle Arti; Biblioteca Palatina, Raccolta Ortalli) e in due telette a olio della Galleria nazionale (Bigliardi, 1977; Fornari Schiachi, 1983; Cirillo-Godi, 1979 e 1987).
Nel 1760 ottenne la medaglia per il disegno di composizione con Il Seneca svenato, mentre nel 1761 fu premiato per il dipinto della Guarigione del paralitico (entrambi a Parma, Galleria nazionale). Le architetture severe, la solennità dei personaggi e gli elementi di decoro sono in queste due opere elementi di precoce neoclassicismo e fanno del Ferrari un anticipatore di quello spirito di alta retorica (Riccomini, 1977), che fu poi del Mengs, del David e di Greuze e che a Parma ebbe il suo massimo esponente in E. Petitot.
Abbandonate le tendenze barocche, il Ferrari aprì verso il gusto archeologizzante, che alla Corte ducale parmense trovava stimolo anche dalla scoperta delle statue romane di Velleja (1760-1761).
Sempre intorno al 1760 si data Il Frugoni e l’Arcadia (Parma, Galleria nazionale), opera emblematica di come il Ferrari, attingesse ai modelli francesi, adeguando la sua tecnica al gusto del committente (Bigliardi, 1977, p. 46): su un’idea fornita molto probabilmente dal Du Tillot e sulla quale il Ferrari stese un primo progetto (Studio per l’Arcadia, Parma, Galleria nazionale), il dipinto rappresentò una novità pittorica, che peraltro a Parma non ebbe seguito, di chiara matrice poussiniana nella resa atmosferica di una favola arcadica.
Dal 1762 è la commissione, da parte del sodalizio del Santissimo Sacramento della chiesa di Santa Caterina (Grandinetti, 1973), del dipinto con l’Immacolata (Parma, chiesa di Ognissanti), una sorta di Pompadour in gloria (Riccomini, 1977, p. 121), che conferma come il successivo percorso del Ferrari si orientò quasi tutto nel solco francese e baldrighiano.
Aria francese aleggia anche nella produzione ritrattistica del settimo e ottavo decennio, quando il Ferrari ricevette dalla Corte l’incarico di terminare alcuni dipinti che, iniziati da J.-M. Nattier e C. Van Loo, dovevano essere portati a termine dal Baldrighi (Bigliardi, 1977, p. 44).
A questa fase appartengono alcuni ritratti conservati a Parma, quali il ritratto di S. Bettinelli del 1763 (Pinacoteca Stuard), quello di G. Du Tillot, di grande virtuosismo ottico e pittorico (Fornari Schianchi, 1979) e quello di Don Ferdinando di Borbone (entrambi alla Galleria nazionale), il ritratto del protofisico F. Torregiani (collezione Cassa di Risparmio di Parma), del medico G. Camuti (collezione privata) e quello del segretario D. Cortesi (raccolta Maestre Luigine), dai quali emerge l’importanza del rapporto col Baldrighi.
La vivace indagine psicologica si spinge verso punte di verismo nei due busti di L. Bertoluzzi e della moglie (Galleria nazionale), opere che ancora ai tempi dello Scarabelli Zunti erano proposte come modelli di esercitazione per gli allievi dell’Accademia. Sono ritratti borghesi, non ufficiali, vicini alla coeva pittura inglese per il gusto dell’esatta descrizione del costume, per l’espressione indagata e confidenziale (Riccomini, 1977, p. 130).
Riferito al catalogo del Ferrari (Natale, 1984, pp. 852, 856) è anche il Ritratto di gruppo (San Francisco, M.H. de Young Memorial Museum), dove il Ferrari si raffigura al cavalletto. Sulla scorta di questo dipinto è possibile identificare in Baldrighi e nell’incisore Antonio Martini i personaggi coi quali il Ferrari si ritrae in animato colloquio nella serie dei Triplici ritratti (1763, Parma, Biblioteca Palatina, Raccolta Ortalli e Galleria nazionale; Ottawa, National Gallery of Canada), opere che confermano come il gusto per questo genere fosse profondamente radicato nel contesto parmense.
Alla conoscenza del percorso artistico del Ferrari e della sua autonomia e originalità all’interno della pittura parmense del Settecento offrono un contributo due suoi dipinti piemontesi: la pala con la Messa di San Gregorio di San Giovanni a Nizza Monferrato, eseguita tra il 1765 e il 1768, e l’Annunciazione della chiesa dell’Annunziata di Vercelli, di poco posteriore (Natale, 1984).
Di committenza ducale è il disegno per il frontespizio, inciso a Piacenza da P. Perfetti (1769), per il volume Il congresso negli Elisi, edito per le nozze del duca Ferdinando di Borbone con Maria Amalia d’Austria (Parma, Biblioteca Palatina). Artista ormai affermato, il Ferrari venne aggregato all’Accademia Etrusca di disegno (1773) e all’Accademia Clementina di Bologna (28 giugno 1774).
Nominato consigliere con voto dell’Accademia di Parma (10 luglio 1774), ne divenne professore della scuola di disegno, l’unica che, a giudizio dei contemporanei, fosse di un certo valore (cfr. Capacchi, 1972).
Nel 1785, inoltre, divenne ritrattista di Corte con soldo e maestro di pittura con l’obbligo di aprire studio (Bertoluzzi, ms. inizi XIX secolo), carica che ricoprì fino alla morte.
Alla sua maturità artistica appartengono numerose opere che, sebbene condotte entro i canoni del gusto settecentesco, contengono elementi nuovi che il Ferrari traeva dalla natura e dalla realtà. Sono da ricordare La predica del Battista della parrocchiale di Castel San Giovanni del 1771, con teste di carattere alla Benigno Bossi (Riccomini, 1977, p. 127) e il relativo studio a olio della Testa del Battista (Parma, Galleria nazionale), che riporta ad una Francia classicheggiante (Bigliardi, 1977, p. 42), la Sacra Famiglia (Piacenza, Collegio Alberoni), Sant’Anna insegna a leggere alla Madonna (1774, Parma, Galleria nazionale) e la pala con Sant’ Omobono distribuisce l’elemosina (1777-1778), di tradizionale iconografia pietistica, per San Liborio di Colorno, la chiesa ducale per la quale dipinse anche la Sacra Famiglia con Sant’Anna, San Gioacchino, San Francesco e Sant’Agostino, firmata e datata 1780. E ancora una serie di ovali, San Bernardo da Corleone per i cappuccini di Parma, San Vincenzo Ferreri per San Paolo (poi entrambi nella Galleria nazionale) e San Francesco Saverio, della parrocchiale di Vigatto, datato 1774, nei quali tuttavia il linguaggio rimane accademico e convenzionale.
Il Ferrari fece testamento il 30 agosto 1787, nominando erede la moglie Alba Grazioli, dal momento che la loro unica figlia, Fernanda, era morta tre anni prima (Bigliardi, 1977, p. 37 n. 3).
Morì mentre attendeva a un ritratto della famiglia ducale (Baistrocchi-Sanseverino, ms., XIX secolo) e fu sepolto nella chiesa di San Quintino a Parma.
Il vasto corpus grafico del Ferrari è costituito, oltre che dagli studi di nudo già ricordati, da studi di teste, da idilli pastorali, da scene mitologiche e da ritratti, opere nelle quali si evidenzia, oltre alla facile vena descrittiva, la finezza straordinaria della linea e la notevole sensibilità nell’uso dello sfumato (Bigliardi, 1977, pp. 49 s.; Fornari Schianchi, 1979).
Le opere perdute, tra le quali un Ritratto di Ferdinando IV di Borbone e alcuni dipinti in chiaroscuro in Sant’Eufemia a Brescia, si ricavano sia da una nota manoscritta del Ferrari, successiva al 1780 (Parma, Museo Glauco Lombardi, sc. 25, b. 4), sia da un elenco contenuto nelle memorie dello Scarabelli Zunti, che ricorda inoltre tra i numerosi discepoli del Ferrari il reggiano Biagio Manfredi, il caravaggese Paolo Gallinoni e frate Attanasio da Coriano.
FONTI E BIBL.: Parma, Biblioteca Palatina: R. Baistrocchi, Guida per i forestieri, ms., 1787, c. 66, ms. 1106: G. Bertoluzzi, inizi XIX secolo, cc. 66, 300, 305; Parma, Soprintendenza alle Gallerie, ms. 130: G. Baistrocchi-A. Sanseverino, Biografie d’artisti parmigiani, XIX secolo, c. 62, E. Scarabelli Zunti, Materiale per una guida artistica e storica di Parma, ms. XIX secolo, c. 62, E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, ms. XIX secolo, VIII, cc. 104-107; Parma, Museo Glauco Lombardi, Inventario generale dell’Accademia parmense, ms., 1820, sc. 25, b. 2, fasc. 5, c. 1; F. Bartoli, Le pitture, sculture ed architetture della città di Rovigo, Venezia, 1793, 190; I. Affò, Il parmigiano servitor di piazza, Parma, 1796, 66, 98, 108, 110, 125; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, 1808, a cura di M. Capucci, Firenze, 1968, II, 252; P. Donati, Nuova descrizione della città di Parma, Parma, 1824, 132; L. Scarabelli, Guida ai monumenti storici ed artistici della città di Piacenza, Lodi, 1841, 187; P. Martini, La scuola parmense delle belle arti e gli artisti di Parma e Piacenza dal 1777 all’oggi, Parma, 1862, 7 s.; C. Ricci, La Regia Galleria di Parma, Parma, 1896, ad Indicem; G. Lombardi, Parma alla mostra fiorentina del ritratto italiano, in Aurea Parma 1-2 1912, 21-24; H. Bédarida, Parma e la Francia, Parma, 1986, 41, 113, 450, 499 s., 507; Inventario degli oggetti d’arte d’Italia, A. Santangelo, Provincia di Parma, Roma, 1934, ad Indicem; A.O. Quintavalle, La Regia Galleria di Parma, Roma, 1939, 236, 261; Mostra dell’Accademia (catalogo), a cura di G. Allegri Tassoni, Parma, 1952, 20, 33; G. Copertini, Fra bozzetti, disegni e stampe, in Parma per l’Arte XI 1961, 134; C. Briganti, Curioso itinerario delle collezioni ducali parmensi, Milano, 1969, 17, 52, 57; G. Bertini, I quadri della real chiesa di San Liborio a Colorno, in Aurea Parma LIV 1970, 188; G. Capacchi, Un anonimo e severo giudizio settecentesco sui professori maestri dell’Accademia di Parma, in Aurea Parma LVI 1972, 129; L. Grandinetti, Spigolature d’archivio per una storia della parrocchia di Ognissanti in Capo di Ponte, in Parma nell’Arte I 1973, 12-16; A. Bacchini, Sissa, storia di un paese, Parma, 1973, 38, 42, 141, 147; G. Godi, in Mecenatismo e collezionismo pubblico a Parma nella pittura dell’Ottocento (catalogo), Colorno, 1974, p. XXIV; R. Bigliardi, Pietro Melchiorre Ferrari, in Aurea Parma LXI 1977, 36-57; E. Riccomini, I fasti, i lumi, le grazie. Pittori del Settecento parmense, Parma, 1977, 111-134; G. Bertini, Un dipinto ritrovato di Pietro Melchiorre Ferrari, in Aurea Parma LXII 1978, 121-123; G. Godi, All’asta a Firenze un disegno del Ferrari, in Gazzetta di Parma 17 novembre 1978; L. Fornari Schianchi, Il momento illuminista nell’arte parmense del ’700 (Baldrighi-Ferrari-Bossi), in L’arte a Parma dai Farnese ai Borbone (catalogo), Bologna, 1979, 111-122; G. Cirillo-G. Godi, Apporti al catalogo e alla storia della pittura parmense del ’700, in Parma nell’Arte I 1979, 39-41; L. Fornari Schianchi, La Pinacoteca Stuard di Parma, in Arte e pietà. I patrimoni culturali delle Opere pie (catalogo), Bologna, 1980, 330; E. Bazzani-M. Cuoghi Costantini-I. Silvestri, Le stoffe di seta. Produzione e commercio, in Vita di borgo e artigianato, Milano, 1980, 254 s.; G. Godi, Dipinti inediti di Pietro Ferrari, in Gazzetta di Parma 9 gennaio 1981; S. Pinto, in Storia dell’arte italiana, Einaudi, parte II, 2, Torino, 1982, ad Indicem; L. Fornari Schianchi, La Galleria nazionale di Parma, Parma, 1983, 212-217; V. Natale, Le opere di Pietro Melchiorre Ferrari in Piemonte e qualche attribuzione, in Scritti in onore di F. Zeri, Milano, 1984, 847-858; A. Musiari, Neoclassicismo senza modelli. L’Accademia di belle arti di Parma tra il periodo napoleonico e la Restaurazione, Parma, 1986, 11, 203; G. Cirillo-G. Godi, La Pinacoteca Stuard di Parma, Parma, 1987, ad Indicem; J. Urrea, Noticias y retratos de la corte de Parma, in El arte en los cortes europeas del siglo XVIII, Madrid, 1987, 784-792; F. Arisi, La Galleria Alberoni di Piacenza, Piacenza, 1991, 94; P. Ceschi Lavagetto, in La pittura in Italia. Il Settecento, Milano, 1992, I, ad Indicem, II, 715; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, XI, 460 s.; Dizionario enciclopedico Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani dall’XI al XX secolo, IV, 399 ss.; V. Maugeri, in Dizionario biografico degli Italiani, XLVI, 1996, 652-654; V. Banzola, in La Cesa di Sant 1999, 25-27.